Italia: Operazione “Ritrovo” – Testi e riflessioni in solidarietà con gli anarchici arrestati

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Ricevuto 21/05/2020 via insuscettibilediravvedimento.noblogs.org

Italia: Operazione “Ritrovo” – Testi e riflessioni in solidarietà con gli anarchici arrestati (maggio 2020)

Sai che Ritrovo…

E i cani sciolti escono fuori dal gregge escono fuori come schegge
e chico puoi giurarci, quando occorre esco fuori legge
perché devo svoltare in tempi duri
seguo la mia idea visto che ancora oggi come ieri
— 
Sangue Misto, Cani sciolti

Ci risiamo. L’anno 2020 sarà ricordato come l’inizio dell’epoca del contagio, ma non poteva farsi mancare l’ennesima operazione repressiva contro alcune individualità anarchiche. Lo scenario questa volta è Bologna: sette fra anarchiche e anarchici dispersi nei carceri di Piacenza, Vigevano, Ferrara e Alessandria e altri cinque colpiti da misure restrittive quali obbligo di dimora nel comune di residenza, firme quotidiane in qualche merda di caserma e rientro notturno nelle proprie abitazioni. L’operazione poliziesca, denominata ”Ritrovo”, ruota attorno alla fantomatica accusa di associazione sovversiva con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, il famoso 270bis. Questa accusa ormai è usata a grappoli – come le bombe lanciate a suon di democrazia da qualunque Stato su gente inerme – contro gli anarchici negli ultimi anni. Gli altri reati contestati sono istigazione a delinquere, deturpamento, imbrattamento, danneggiamento e incendio.

In sostanza l’Inquisizione parte da un fatto: l’incendio di alcune antenne delle telecomunicazioni nel dicembre 2018 nel bolognese per aprire un’inchiesta per terrorismo. Da qui i noti spioni, con le solite tecniche investigative, cercano di ricamare una storia che giustifichi vari psicoreati di orwelliana memoria. Come avvenuto in passato, rapporti di affinità e di solidarietà divengono il sostegno per cercare di devastare le vite a individui che non hanno mai nascosto il loro odio viscerale per l’autorità.

Di questa indagine dai contorni come al solito fumosi, il fulcro centrale non è il vuoto gergo repressivo fatto di fantomatiche associazioni terroristiche, ma la volontà di potenza nel colpire duramente chi ha delle idee sovversive. Ed è qui che il potere vuole zittire chi è refrattario a rassegnarsi ad un vita fatta di oppressione e sfruttamento, dove l’era della tecnica la rende apparentemente incontrovertibile. Chi ha una coscienza, cioè quell’incontro meraviglioso fra intelligenza e sensibilità, come può non odiare i lager di Stato chiamati CPR e tutti quelli che sostengono l’annientamento umano? Chi riflette sul circostante, come può non riconoscere che cavi, telecomunicazioni e flussi di energia aiutano inesorabilmente questo mondo dell’idiozia e del rincoglionimento totalitario, alienando la maggior parte delle persone e devastando quello che rimane di naturale? Chi vuole diffondere le proprie idee contro una vita obbligata e fatta di stenti perché non dovrebbe scagliarsi contro questo mondo nella sua totalità? Come possono degli individui che vedono il carcere come discarica sociale, non lottare per la fine della segregazione ovvero farla finita con ciò che è e con ciò che è Stato? Come non riuscire a vedere con i propri occhi la responsabilità delle condizioni sociali imposte nel diffondersi di un’epidemia?

Quando uno spirito libero comprende che un sentito di libertà inizia col dissenso verso le atrocità del presente diviene un problema per chi domina. La critica radicale si manifesta intraprendendo un viaggio che contiene il crimine di tutti i crimini: un mondo senza dominio. Chi ha una passione senza misure viene trattato da criminale, a cui si imputano una serie di fatti accaduti per toglierselo di torno.

Nella neolingua giuridica lo scrivere e diffondere l’idea diviene terrorismo e istigazione a delinquere. Tutto questo fa parte del rapporto sociale chiamato Stato. Nessun vittimismo potrà scalfire che il ruolo storico della burocrazia è un meccanismo di guerra verso qualunque indesiderabile per difendere gli scaffali della merce e la tecnica impiegata. In sostanza, difendere i privilegi dei ricchi da un mondo di povertà agonizzante.

Se riconosciamo che la meschinità si accompagna prepotentemente allo squallore, dove la miseria esistenziale è legata alla mercificazione di ogni aspetto relazionale, in cui la devastazione della terra è sovvenzionata dalle protesi tecnologiche, mentre la bruttura filosofica supina al potere fa rima con la banalità artistica da streaming, non possiamo che riconoscersi solidali e complici con chi si espone per le proprie idee, così tanto pericolose da essere ingabbiate. Se viene repressa un’idea di libertà intesa come assenza di limiti, spezzare le catene del potere per puntare a qualcosa di inconoscibile è un atto di sensibilità profonda che non riguarda solo le anarchiche e gli anarchici arrestati a Bologna (senza dimenticare tutti i ribelli richiusi e sorvegliati), ma che tocca tutte quelle persone che non si rassegnano al mutismo e all’immobilismo.

Visto che oggi questo mondo è come ieri, non possiamo arrenderci al virus della paura anche se la tecnologizzazione delle vite, l’apparente assolutismo della polizia e del denaro, potrebbero calmare anche gli spiriti più indomiti. Non esiste una via di mezzo fra l’arrendersi alla paura o distruggerla. Donarsi all’imprevisto e ai propri sogni è un’allettante possibilità per non rimanere ingarbugliati con il sangue agli occhi. Un modo alquanto caloroso anche per sostenere la liberazione di tutte le ribelli e i ribelli sepolti vivi nelle gabbie sta anche nell’interrogarsi su come nuocere a questa società e su come attraversare l’ostilità verso ciò che la propaga.

Gli svariati attacchi alle strutture del dominio che spesso infuriano la normalità mortifera non ci parlano proprio di questo? E le minacce del potere di far tacere le voci che sostengono apertamente la rivolta non ci fanno intendere che qualunque di queste grida potrebbe essere strozzata da una catena?

[Tratto da csakavarna.org].


Potrebbe colpire chiunque: agire diventa autodifesa

Solidarietà e cassa resistenza

Mercoledì 13 maggio l’operazione “Ritrovo”, coordinata dalla procura di Bologna, ha incriminato diverse persone tra Bologna, Firenze e Milano: 7 di loro sono state arrestate in custodia cautelare e senza processo, altre 4 hanno ricevuto misure cautelari alternative. Si tratta di compagne e compagni che, come noi, si oppongono a frontiere e CPR e credono che attraverso l’azione si possa creare un mondo solidale, senza più persone oppresse e sfruttate.

Al Tribolo, spazio bolognese preso di mira dall’operazione, ci siamo state anche noi e lì, come in tanti altri luoghi, abbiamo potuto conoscere compagne attive nella lotta ai CPR di altre città.

L’operazione repressiva che ha portato alle misure cautelari, condotta dal Ros (!) e dalla procura antiterrorismo di Bologna (!!) è atroce, di una franchezza inaudita e pericolosa per la libertà di tutte e tutti.

È atroce perché utilizza le leggi antiterrorismo per terrorizzare la società, criminalizzando chiunque tenti di reagire alle ingiustizie. Rappresenta il quinto tentativo in poco più di un anno di raggruppare sotto il pesantissimo 270bis CP (associazione con finalità di terrorismo o di eversione), ormai sventolato con una disinvoltura preoccupante, iniziative, manifestazioni, diffusioni di critiche e azioni. Portare solidarietà e supporto agli/le ultim* con costanza e determinazione è diventata ragione sufficiente per essere accusate di “terrorismo”: ormai viene accusat* chiunque porti avanti pratiche coerenti di pari passo con analisi di critica radicale dell’esistente.

Le compagne e i compagni, tra le altre cose, vengono accusat* “di contrastare anche mediante ricorso alla violenza le politiche in materia di immigrazione”, di mettere in atto azioni volte a “contrastare e impedire l’apertura dei Centri Permanenti [?] di Rimpatrio”: ma noi sappiamo bene che chi pratica davvero violenza e terrorismo è chi rinchiude le persone in strutture come i CPR, imprigionate per mesi in attesa della deportazione, ammassate in condizioni intollerabili, spesso picchiate, talvolta lasciate morire o ammazzate.

L’operazione è inoltre spudoratamente franca, tanto che nelle stesse carte compare la ragione dell’operazione: “l’intervento […] assume una strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturiti dalla particolare descritta situazione emergenziale possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato […]”. In breve, lo Stato rinchiude coloro che potrebbero partecipare attivamente ad atti di ribellione contro di esso.

E perciò diventa estremamente pericolosa per la libertà di tutte: se basta questo, ci chiediamo, chi saranno le prossime e i prossimi?

Approfittando del totalitarismo di fatto creato “per la nostra salute”, lo Stato di diritto si è tolto la mascherina democratica per attaccare apertamente i suoi oppositori politici; la famigerata libertà di espressione e di opposizione con la quale, fino a ieri, si è riempito la bocca, viene messa da parte senza fatica. Se non reagiamo, ciò che è successo ieri potrebbe rappresentare uno spaccato dei prossimi tempi; potrebbe risuccedere a chi deciderà di scendere in strada per opporsi alle ingiustizie, per non far pagare la crisi che verrà alle fasce più povere o per creare legami solidali.

Esprimiamo solidarietà e calore alle compagne e ai compagni, repress* per aver lottato senza delega e mediazioni contro le istituzioni e le strutture dello sfruttamento e dell’oppressione.

Elena, Leo, Zipeppe, Stefi, Nicole, Guido, Duccio, Martino, Otta, Angelo, Emma, Tommi liber* subito!

Stiamo raccogliendo in una cassa comune contributi da inviare per le spese legali cui dovranno far fronte le persone coinvolte in quest’ultima operazione: chiunque voglia e possa contribuire ci contatti sulla pagina facebook “no cpr e no frontiere – fvg”!

[Tratto da nofrontierefvg.noblogs.org].


MERDE – CESSI – CHIAVICHE

Queste sono le parole che abbiamo sentito risuonare in questi ultimi mesi dalle bocche di numerose familiari di persone detenute, riferite per lo più all’operato vigliacco e vendicativo di giudici, magistrati, ministri e viceministri operanti nella sfera della sorveglianza, della repressione, della reclusione. Della “Giustizia”, insomma… che in questo periodo di emergenza-Covid, ha preferito mostrare il pugno di ferro invece di mettere in atto misure adeguate a preservare veramente la vita di chi si trova in carcere.

Oggi, più di sempre, ci uniamo a questo coro.
Oggi, che lo Stato ci strappa, arrestandoli, altri 7 tra compagni e compagne, i nostri cari.
Oggi, che la procura di Bologna rende operativi dei mandati di cattura ideati, ed eseguiti in piena notte, dai Reparti Operativi Speciali dei carabinieri, e impone ad altri/e 5 l’obbligo di dimora a Bologna, rientro notturno e firme quotidiane.

L’inchiesta ripercorre il modus operandi di ormai decine di altre in passato, il ciclico e strumentale utilizzo dell’articolo 270 bis, l’associazione con finalità di terrorismo, che tutto giustifica. Soprattutto i mezzi impiegati, i soldi spesi per farlo, e i tempi d’indagine prolungati. Questa inchiesta infatti è un po’ datata (sembra prendere avvio nel 2018)… ma una nota della procura ci chiarisce il perché, nonostante la richiesta delle custodie cautelari fosse depositata nei loro uffici già dal luglio 2019, proprio ora viene accordata. Non è nostra abitudine citare certe fonti, ma questa volta ce la sentiamo, ché questa nota ci suggerisce un paio di considerazioni: 1) […] “Le evidenze raccolte in questo ultimo periodo, caratterizzato dalle misure di contrasto all’emergenza epidemiologica del Covid-19, hanno evidenziato l’impegno degli appartenenti al sodalizio[…] ad offrire il proprio diretto sostegno alla campagna “anti-carceraria”, accertando la loro partecipazione ai momenti di protesta concretizzatisi in questo centro” (Bologna). Come spesso accade, è la generosità – e l’impegno, certo –, delle compagne e dei compagni che viene punita. Non ci fossero state le rivolte a rivendicare vita e dignità, e le iniziative fuori a sostenerle, la “questione carcere” e le morti, pesanti come macigni che si porta dietro, sarebbero rimaste tombate nel silenzio. 2) […] “In tale quadro, l’intervento, oltre alla sua natura repressiva per i reati contestati (ma ciò non dovrebbe avvenire a processo concluso? Cioè una volta eventualmente accertate le responsabilità?), assume una strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, scaturibili dalla particolare descritta situazione emergenziale possano insediarsi altri momenti di più generale “campagna di lotta antistato” oggetto del citato programma criminoso di matrice anarchica […]”.

E la valenza preventiva connaturata a qualsiasi misura cautelare, non dovrebbe riferirsi al pericolo di reiterazione di un qualche reato, un po’ più specifico di un opinabile “istigazione” al limite del “delitto d’opinione”?

Certo, se la custodia cautelare è già considerata come repressione dei reati contestati, è evidente che si può affermare senza problemi che in questo già claustrofobico momento bisogna prevenire, anche tramite la privazione della libertà, l’azione di chiunque si permetta di mettere in discussione la natura e le scelte dello stato (che nel mentre ha mostrato cosa – e chi – è sacrificabile) … come se non fossero esse stesse a provocare la tensione sociale.

Oggi più di sempre possiamo solo dire di essere orgogliose/i di avere delle compagne e dei compagni che anche nei periodi più difficili non rinunciano a battersi per ciò che si ritiene giusto! Contro ciò che risulta inaccettabile! E che sempre più persone arriveranno a comprendere volenti o nolenti, non perché lo dicono gli anarchici, ma perché, come questi tempi hanno reso evidente, lo stato non fa sconti a nessuno.

In quanto alla formula del terrorismo, a onor del vero usata e abusata nel corso del tempo, e sempre spendibile strumentalmente nel teatrino mediatico, non sprechiamo parole.

Ad Elena, Stefi, Nicole, Zipeppe, Guido, Duccio, Leo, rinchiusi nelle varie sezioni penitenziarie di Alta Sicurezza adibite ai sovversivi e alle sovversive; ad Emma, Otta, Martino, Tommi, Angelo, colpiti dalle altre misure restrittive, va tutta la nostra solidarietà, il nostro sostegno, il nostro affetto.

LIBERE SUBITO, LIBERI SUBITO!

Roma, 13 maggio 2020
NED-PSM

[Tratto da roundrobin.info].


Le mani avanti

Ieri mattina le nostre sveglie sono state sostitute da un tam tam di mail, messaggi e telefonate. Una prassi che conosciamo purtroppo bene ma a cui i nostri cuori non riescono comunque ad abituarsi, una prassi che accompagna l’arrivo di una nuova operazione repressiva.

Gli immancabili ROS hanno dato seguito all’ennesima indagine per 270bis, questa volta contro le compagne e i compagni di Bologna. Il nome scelto è “Ritrovo” e le tempistiche sono state spiegate dai principali giornali come finalizzate al prevenire lo scoppio di malcontenti sociali in vista della ripresa post Covid-19.

Delle accuse specifiche non ci interessa parlare perché chi si rivolta contro questo sistema di ingiustizie, fatto di controllo, carcere e CPR, repressione e capitalismo spinto all’ennesima potenza, ha tutta la nostra solidarietà.

Ci preme sottolineare che nonostante le modalità repressive non siano per nulla nuove, queste mani avanti dello Stato per evitare che il malcontento sociale esploda sono l’ennesima riprova della bassezza alla quale può giungere.

Ci interessa invece dire a gran voce che al fianco dei compagni e delle compagne arrestate e sottoposte a misure ci siamo anche noi.

Come al nostro fianco sono stati loro, magari in strada, magari su un argine, magari davanti ad una rete, magari in un campeggio, magari in una campagna, magari con uno scritto, magari con una riflessione.

Anche se dall’altra parte del mare, anche senza conoscerci direttamente, sappiamo che nei loro sguardi ci riconosceremmo, ci siamo riconosciute e ci riconosceremo di nuovo.

Potranno anche cercare di togliere dalle strade di Bologna compagne e compagni che lottano ogni giorno con generosità, ma questo non fermerà la voglia, nostra e di altri, di continuare a trovare nuove vie per i nostri desideri, repressione dopo repressione.

Saremo ancora lì, con le nostre di mani, avanti, protese verso chi, come noi, non smetterà di avere rabbia in corpo.

Solidarietà alle compagne ed ai compagni colpiti dall’operazione Ritrovo, libertà per tutte e tutti.

Kuntra sa prepotentzia de s’Istadu feus kumente s’ortigu*

Kasteddu,
Maggio 2020

Facciamo come la quercia da sughero, che nel corso dei secoli per proteggersi dagli incendi che imperversano nelle torride estati sarde ha sviluppato una corteccia ignifuga, fatta appunto di sughero, che le permette di non soccombere sotto il calore delle fiamme. Così come le querce resistono agli incendi rigermogliando alle prime piogge autunnali, noi auspichiamo una resistenza diffusa preparandoci al germogliare della ribellione.


Contro l’ennesimo 270bis, solidarietà da Cagliari

Tredici maggio, ore 02:00 i ROS suonano ai citofoni di numerose case, la maggior parte a Bologna. E’ appena scattata l’operazione “Ritrovo”. Per alcuni le notizie saranno brutte, arresto, per altri un po’ meno, misure cautelari alternative.

Prima dell’alba si inizieranno a fare i conti che con le luci del mattino diventeranno chiari. 7 misure cautelari in carcere e 5 obblighi di dimora, di cui 4 con l’obbligo di firma quotidiano, xx perquisizioni, fra cui anche il circolo Il Tribolo.

Il reato contestato è l’ormai abusato 270bis “associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico”.

Come da prassi degli ultimi anni gli arrestati sono stati divisi in varie prigioni e nessuno a Bologna. Il fatto che sembra tenere in piedi l’indagine è un attacco incendiario avvenuto nel dicembre 2018 a dei ripetitori a Monte Donato, dove furono gravemente danneggiate delle antenne di emittenti televisive e di alcune ditte  specializzate in intercettazioni.

Nell’indagine appaiono anche fatti di rilevanza penale inferiore, come dei danneggiamenti avvenuti nel corso di cortei e imbrattamenti vari. Inoltre è ricostruita la partecipazione attiva degli indagati alle iniziative di solidarietà sotto il carcere della Dozza del marzo scorso durante le rivolte contro le misure anti-covid. Per chi non se lo ricordasse poco prima del lockdown generale ci furono delle giornate di rivolte violentissime dentro le carceri di mezza Italia, i prigionieri preoccupati dei rischi del contagio e dell’inefficienza totale della sanità carceraria si ribellarono, devastando intere strutture. Il costo fu fra i più salati degli ultimi decenni, i prigionieri morti furono ben 15.

L’accusa si completa includendo nel faldone le iniziative e l’interesse da sempre portato avanti con generosità ed efficacia contro la macchina delle espulsioni, i lager per migranti e in generale le politiche dello stato in materia migratoria.

Ovviamente il tutto è stato condito da intercettazioni ambientali, ottenute con microspie infilate nell’intimo delle vite degli indagati, utili più che altro a tracciare profili psicologici, a infarcire migliaia di pagine di faldoni altrimenti rinsecchiti dalla pochezza di notizie interessanti che gli inquirenti riescono a ricavare nonostante le incredibili risorse economiche, scientifiche e umane che hanno a disposizione.

Non avendo letto il faldone non abbiamo quindi notizie precise, ci fermiamo a queste prime fonti giornalistiche e ai racconti riportatici dai compagni emiliani che abbiamo potuto contattare, per provare a tracciare alcune analisi di base che sono sufficienti a riscontrare preoccupanti similitudini nei meccanismi repressivi dello Stato.

La necessità repressiva

Lo Stato può essere visto come un’enorme matriosca, che per quanto riguarda i temi di queste righe contiene il Ministero dell’Interno, le varie prefetture, questure, procure, digos, sbirri, ecc. Questo è l’apparato di controllo, repressivo, che di questi tempi più che mai vive dell’assoluta necessità di portare a casa dei risultati, che per questi signori hanno un solo nome: arresti, o in seconda opzione indagini.

In una fase storica di impoverimento, di pressione sulle frontiere, crollo del welfare, lo Stato chiede all’apparato repressivo di prevenire, ancora più che di curare, qualsiasi eruzione di rabbia e tensione sociale. I mezzi a disposizione di questo obiettivo sono infiniti, soldi a palate, tecnologia di ultima generazione e tutti gli uomini che servono. L’esatto opposto ad esempio di quello che lo Stato mette a disposizione della sanità. Ma ad avere una sanità efficiente non ci salvi uno Stato dal conflitto di classe.

Quindi ecco che le energie spese in questo campo devono dare risultati, sia come evidenza del valore degli investimenti sia come deterrente per chi sta pensando di alzare la testa e iniziare a tirare le pietre al posto della cinghia.

Terrorismo come grimaldello

Recentemente – a conferma della strumentalità di tali operazioni – la maggior parte delle indagini per 270bis non ha superato il vaglio dell’udienza preliminare. Se quindi non ci stupiamo e non ci stupiremo di vedere cadere pomposi castelli accusatori di reati gravi come quello di terrorismo di fronte ai banchi dei tribunali, non ci stupiamo neanche che il terrorismo venga ricondotto anche a delle pratiche di tutt’altra natura, come la solidarietà, l’azione diretta, il sabotaggio, il danneggiamento.

In particolare è prassi degli ultimi tempi quella di inserire nelle indagini per terrorismo a carico di compagni e compagne reati di piazza, rivendicati, svolti sotto la luce del sole, partecipati attivamente da tante persone. Un esempio tra i più lampanti lo abbiamo con l’indagine condotta dal pm Pani qui in Sardegna, che ha basato il teorema accusatorio su cortei, campeggi, tagli alle reti, tutte iniziative pubbliche, di massa, rivendicate da centinaia di persone.

Tale scelta viene compresa andando a leggere cosa prevede l’articolo 270bis, innanzitutto lo sblocco di ingenti somme di denaro per portare avanti le indagini, la detenzione preventiva, la secretazione dell’indagine ed altre conseguenze come il sequestro di locali o mezzi utilizzati dagli indagati, insomma è un ottimo attrezzo nelle mani di sbirri e magistrati.

Inoltre vi è anche l’aspetto mediatico, quando i compagni e le compagne vengono arrestate i giornali titolano “arrestati i terroristi”, “antimilitaristi? No, terroristi eversivi”, “smantellata la cellula terroristica anarco-trentina”, di sicuro poi non fanno pubbliche scuse quando i reati vengono derubricati a danneggiamento o i compagni vengono addirittura assolti.

Si criminalizza quindi il dissenso anche nelle forme più lievi e diffuse, col fine di isolare alcuni gruppi, di spaventare i complici e i solidali

La solidarietà

Potrà sembrare strano ma anche la solidarietà viene inclusa nelle condotte che portano all’accusa di 270bis: una scritta in solidarietà a dei compagni arrestati diventa un danneggiamento aggravato che unito ad altre segnalazioni creano quell’insieme di avvenimenti necessari ad imbastire un indagine per “associazione sovversiva con finalità di terrorismo”.

Ma non solo, andare fuori da un carcere in fiamme a sostenere con urla e striscioni i prigionieri viene ritenuto un fatto gravissimo, anch’esso inseribile (e inserito) nelle indagini dell’operazione “Ritrovo”, ma fatti simili li abbiamo ritrovati nelle operazioni Renata e Lince solo per fare degli esempi.

La corrispondenza con i detenuti viene anch’essa inclusa in queste indagini e diventa quindi poi materia per allungare il brodo.

Inserire varie pratiche di solidarietà dentro le indagini per terrorismo ha l’amaro duplice sapore del reprimere chi le fa e intimidire chi le vorrebbe fare, magari proprio per chi è stato arrestato per averle fatte.

Il tentativo di isolare le pratiche, ridurle ulteriormente in una fase in cui sono già ai minimi storici è uno degli obiettivi dichiarati dello stato e dei suoi aguzzini.

La rivendicazione e la propaganda

Se c’è una cosa che proprio le istituzioni e lo stuolo di benpensanti che le difendono non possono accettare è la difesa pubblica di azioni e pratiche esplicitamente illegali, ma per noi giuste e necessarie. Parliamo di sabotaggi, imbrattamenti, latitanza, clandestinità, blocchi, occupazioni e via dicendo. Oramai anche semplicemente far parte di un gruppo di compagni, frequentare assemblee e momenti pubblici, è un buon presupposto per finire nelle pagine di inchiesta.

P. m. e sbirri stanno forzando la mano a più non posso per convincere l’opinione pubblica, ma specialmente i giudici, del nesso di causalità per cui chi si dice d’accordo a un fatto, un’azione o una scelta ne è in qualche modo responsabile. Non è importante che un fatto sia successo o che sia rivendicato, non servono neanche prove schiaccianti, è sufficiente un profilo indiziario (e per questo ci sono le centinaia di ore di intercettazioni e  pedinamenti) e che ci sia un gruppetto di compagni che sostiene che è giusto prendersela con i responsabili dello sfruttamento del pianeta.

Anche per questo abbiamo organizzato la Fiera dell’editoria sovversiva a Cagliari a gennaio di quest’anno, per provare a difendere pubblicamente la pubblicistica e la propaganda sovversiva e indipendente. Visto il clima c’è da aspettarsi che alcuni di quelli che l’hanno organizzata o hanno partecipato se la ritroveranno nelle accuse delle prossime indagini.

Il momento

Un aspetto specifico, che capiremo col tempo che effetto produrrà, è il momento che è stato scelto per eseguire questi arresti. La fase 2 della lotta al Coronavirus.

Lo Stato comunica in modo neanche troppo subliminale che non ci sono pause per la repressione, neanche quando il virus ammazza e l’economia rischia il collasso.

Anzi gli arresti vengono sfacciatamente spacciati come “necessari” in un momento di crisi come questo, in un noto giornale di Bologna si può infatti leggere: “proprio in questo senso le misure cautelari, sottolineano i carabinieri, assumono una strategica valenza preventiva volta ad evitare che in eventuali ulteriori momenti di tensione sociale, derivati dall’emergenza Coronavirus, possano insediarsi altri momenti di più generale campagna di lotta antistato”.

Che dire? La repressione non è certo una novità, e rischiamo che la ristrutturazione socio-economica post pandemia si fondi ancora di più sul controllo e la sicurezza. Effettivamente se lo Stato non dovesse riuscire ad elargire i finanziamenti che promette potrebbero aprirsi diverse crepe, quindi non stupisce il tentativo di portarsi avanti con il lavoro e cercare di “togliere di mezzo” i pericolosi sobillatori.

Viene arrestato chi durante l’epidemia ha scelto di non sottostare acriticamente alle misure di contenimento imposte, chi ha offerto solidarietà e non ha smesso di lottare neanche quando tutti erano chiusi in casa. Gli arresti di 7 persone giungono in prigioni strapiene dove il rischio del contagio è tutt’altro che superato. Alla faccia delle richieste di indulto e amnistia.

Questi che abbiamo esposto sono alcuni dei punti, scritti velocemente, che abbiamo rilevato nelle operazioni degli ultimi tempi, e in quest’ultima bolognese.

Ci sarebbe molto altro da dire e da approfondire, quello che vorremmo sottolineare maggiormente e su cui vorremmo rilanciare un dibattito e delle pratiche, è la difesa dello spazio di azione, di espressione e di conflitto.

Lo Stato con precisione e violenza sta colpendo tutte le realtà che propongono lotte, organizzazione orizzontale, solidarietà e un’idea di un mondo differente; per fare questo vengono utilizzati tutti i mezzi a disposizione per evitare che queste si possano rialzare in fretta. E purtroppo a volte, almeno in parte, ci riescono.

L’obiettivo neanche troppo nascosto è quello di addomesticarci, di chiuderci in una vita di casa e lavoro – e il lockdown è stato un buon banco di prova – in un mondo di sfruttamento e disuguaglianze.

Non sarà sicuramente l’ultima inchiesta, anzi viste le recenti abitudini questurili non dovremo aspettare troppo per la prossima. Le istituzioni sono decisamente più determinate e debellare il virus della ribellione, altro che Covid.

Questi tempi ci parlano di mura e sbarre, di repressione e distanziamento, solo una buona dose di coraggio e determinazione ci può aiutare a superare questi ostacoli, o almeno spingere a provarci.
Esprimiamo la più totale solidarietà nei confronti dei compagni e delle compagne arrestate e indagate, rilanciamo la solidarietà e l’azione con le parole utilizzate per rivendicare l’azione di Monte Donato, fulcro dell’operazione “Ritrovo”.

«Spegnere le antenne, risvegliare le coscienze, solidali con gli anarchici detenuti e sorvegliati».

Kuntra sa prepotentzia de s’istadu feus kumente s’ortigu*

Kasteddu,
Maggio 2020.

Facciamo come la quercia da sughero, che nel corso dei secoli per proteggersi dagli incendi che imperversano nelle torride estati sarde ha sviluppato una corteccia ignifuga, fatta appunto di sughero, che le permette di non soccombere sotto il calore delle fiamme. Così come le querce resistono agli incendi rigermogliando alle prime piogge autunnali, noi auspichiamo una resistenza diffusa preparandoci al germogliare della ribellione.


Genova: Solidarietà ai compagni e alle compagne di Bologna

Per questa occasione è stato il PM Stefano Dambruoso a firmare l’ennesima operazione anti-anarchica denominata “Ritrovo” nella città di Bologna, accompagnata dagli sgherri del Ros.

Sono in totale 12 le compagne e i compagni (di cui 7 in carcere e 5 con l’obbligo di dimora e firma quotidiana) accusati di vari reati tra cui l’immancabile 270bis.

Quello che questa volta risalta di più agli occhi di chi legge e che la stampa di regime non fa neanche finta di celare, è il motivo contingente da cui scaturiscono gli arresti: questi individui hanno sostenuto e divulgato le lotte che i detenuti stanno conducendo dall’inizio dell’emergenza Covid 19 per non veder ulteriormente annichilito il loro diritto a non crepare in quella trappola per topi che sono le carceri italiane.

E come osano questi anarchici scendere in strada, infischiandosene delle restrizioni causa coronavirus, ostinatamente e senza aspettare il beneplacito di masse e movimenti, per esprimere solidarietà e passione per la libertà, quando ormai la maggior parte della popolazione è ridotta ad un gregge obbediente e terrorizzato dal lavaggio del cervello mediatico.

Non sia mai che continuino a supportare attivamente queste proteste che hanno da subito mostrato la loro potenzialità di conflitto, non perché effettivamente mediazione non ve ne sia stata o non si aspiri ad obiettivi intermedi (amnistia, indulto, scarcerazioni), ma per il loro carattere spontaneo e dirompente, il loro essere una lotta per la sopravvivenza stessa, condotta da uomini e donne già portati allo stremo e disposti, almeno per una volta, a giocarsi il tutto per tutto.

Non sia mai che il gusto di lottare per i propri bisogni e desideri si contamini e si diffonda.

E allora questi anarchici è meglio incarcerarli preventivamente e strategicamente, levarli di mezzo in vista di possibili conflitti futuri.

Sarebbe ovvio presumere che questa tensione sociale sia probabile (per noi auspicabile) e incalzante visto il giogo sempre più pesante dal punto di vista del controllo, della repressione delle voci che non si conformano, della stretta al collo dell’economia… purtroppo rileviamo con sconcerto che più il regime alza l’asticella più il popolo si attrezza per sopportare.

Quando tutte le teste sono chine è più semplice, per chi ci vuole dominare, individuare e colpire quelli che la alzano.

Fortunatamente gli anarchici non la pensano alla stessa maniera, le passioni non possono essere né imprigionate né dominate, volano alto e quando meno ce lo si aspetta, cadono, come fulmini a ciel sereno, sulla testa del nemico.

SOLIDARIETÀ A TUTTE LE COMPAGNE E I COMPAGNI ANARCHICI NEL MONDO!
FUOCO ALLE GALERE!

Alcun* compagn* di Genova


Bologna: Sull’operazione “ci riprovo”

Poco dopo le 2.00 di notte del 13 maggio 2020 scatta a Bologna l’ennesima operazione anti-anarchica. Anche questa volta si contesta un’associazione sovversiva (art. 270bis).

In sette finiscono in carcere per altr* cinque scattano l’obbigo di dimora a Bologna con rientro notturno; quattro di quest* hanno anche l’obbligo quotidiano di firma.

Lo spazio anarchico di documentazione “il Tribolo” e svariate case vengono perquisite da 200 tra Carabinieri e agenti del ROS.

L’inchiesta, firmata dal p. m. Dambruoso, parte a seguito dell’incendio di un ripetitore di telecomunicazioni accompagnato dalla scritta «spegnere le antenne risvegliare le coscienze solidali con gli anarchici detenuti e sorvegliati» avvenuto sui colli bolognesi nel dicembre 2018, ma rimane abbandonata in un cassetto della procura dal luglio 2019 fino a maggio 2020.

Il perché ciò avvenga gli inquirenti lo ammettono senza pudore: in epoca in cui le carceri bruciano occorre che lo stato si sbarazzi di chi ha sempre manifestato il proprio appoggio ai detenuti in lotta. Non solo a parole. E occorre farlo perché coi tempi che verranno è meglio mettere le mani avanti. Arrestare preventivamente.

Così, per il DAP, le rivolte nelle carceri – in cui solamente in Italia, sono morti 14 detenuti – sono il frutto dell’«istigazione anarco-insurrezionalista» o in alternativa «opera della mafia» ma non certo delle condizioni invivibili in cui versa chi è rinchiuso.

Per i carabinieri ed i loro «firma-carte», le mobilitazioni che hanno portato parenti e solidali sotto le carceri durante il lockdown non sarebbero altro che una «strumentalizzazione anarchica volta a compiere reati». L’esistenza di cuori decisi a frantumare la coltre d’indifferenza dietro cui, solo nel carcere bolognese della Dozza, due prigionieri sono morti di coronavirus è per un servo dello Stato un opzione incontemplabile.

Non sono le ingiustizie e le disuguaglianze di una società basata sulla sopraffazione a generare lotte e ribellione, ma l’opera del prosiletismo di qualche blog.

Sotto accusa nell’operazione dei ROS sono apertamente le idee antiautoritarie, la difesa delle pratiche d’attacco, l’appoggio ai prigionieri anarchici, la non dissociazione dalla violenza rivoluzionaria, il partecipare a cortei, il redigere manifesti, lo stampare fogli murari, ma anche paradossalmente la volontà di evitare che un corteo di cui si è parte venga caricato, così come lo sbattersi a trovare una casa in cui dei compagni possano scontare gli arresti domiciliari, il frequentarsi o l’abitare assieme.

Accertare le responsabilità indiviudali diventa per i carabinieri superfluo e lo dicono apertamente.

Partecipano a cortei in cui vengono danneggiati i bancomat di una banca che è proprietaria della struttura che avrebbe dovuto ospitare il CPR di Modena. Non è rilevante accertare se abbiano preso parte al danneggiamento, sono individui che avversano queste strutture ma c’è di più qualcuno avrebbe addiruttura detto di preferire l’azione diretta alla mera testimonianza e infatti acquistavano torce da stadio.

In questo accrocchio nel quale solo i carabinieri possono ritrovarsi, ci pare che ogni ragionamento logico sia fuoriluogo…

E’ chiaro, tuttavia, l’intento di colpire le lotte e la solidarietà. Non lasciarglielo fare sta a tutt* e a ciascuno.

COMPLICI E SOLIDALI CON ELENA, DUCCIO, NICOLE, ZIPEPPE, STEFI, GUIDO E LEO

anarchic* e solidal*